La figlia del capitano by Aleksandr Puskin

La figlia del capitano by Aleksandr Puskin

autore:Aleksandr Puskin [Puskin, Aleksandr]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, Classics
ISBN: 9788806211875
Google: 0aQrl6XOLTQC
editore: Giulio Einaudi Editore
pubblicato: 2012-09-14T22:00:00+00:00


32

Con curiosità presi a esaminare la compagnia. Pugaciòv stava seduto al posto d’onore coi gomiti appoggiati alla tavola e la barba nera posata sul suo largo pugno. I tratti del suo viso, regolari e abbastanza piacevoli, non denotavano niente di feroce.

Si rivolgeva spesso a un uomo sui cinquanta, chiamandolo ora conte, ora Timofieic’, e a volte dandogli dello zietto.

Tutti si comportavano tra loro come camerati e non dimostravano nessuno speciale attaccamento al loro capo. La conversazione si aggirava sull’assalto della mattina, sul buon esito della sommossa e sulle azioni future. Ciascuno millantava, affacciava le sue opinioni e contendeva liberamente con Pugaciòv. E in quello strano consiglio militare fu stabilito di marciare su Orenbùrg: mossa audace e che per poco non fu coronata da una fatale riuscita! La marcia fu annunciata per il giorno dopo.

- Su, fratelli, - disse Pugaciòv, - intoniamo per il prossimo sonno la mia canzoncina preferita. Ciumakòv! attacca!

Il mio vicino intonò con voce sottile una triste canzone di tonneggiatori, e tutti fecero coro: Non stormire, o verde madre selva, Non impedire a me, buon giovane, di pensare i miei pensieri, Che diman son chiamato, io buon giovane, a rispondere Davanti a un giudice severo, lo zar stesso.

Comincerà il sovrano a domandarmi:

Dimmi, dimmi tu, figliuol, di contadini figlio, Con chi dunque rubavi, con chi briganteggiavi, Molti ancora eran teco i compagni?

Dirò a te, ortodosso zar, nostra speranza, Tutta la verità dirò a te, la pura verità, Che compagni ne avevo quattro: Primo compagno mio - la notte scura, E secondo mio compagno - il coltel damascato, E come terzo compagno - il mio buon cavallo, E quarto mio compagno - l’arco teso; Che gl’inviati miei furon dardi arroventati.

Che dirà l’ortodosso zar, nostra speranza:

Salute a te, figliuol, di contadini figlio, Che sapesti predare, ora risponder sai!

In cambio ti accorderò, figliuolo, In mezzo a un campo un alto maniero, Due pali cioè con una traversa.

E’ impossibile dire quale effetto produsse su me questa canzone popolare sulla forca, cantata da uomini che alla forca erano votati. Le loro facce minacciose, le voci armoniche, l’espressione triste che essi davano alle parole, già così espressive: tutto mi fece vibrare di poetico sgomento.

Gli ospiti bevvero ancora un bicchiere a testa, si alzarono da tavola e si congedarono da Pugaciòv. Io volevo seguirli, ma Pugaciòv mi disse:

- Rimani; voglio discorrere con te.

Restammo faccia a faccia. Il nostro vicendevole silenzio durò qualche minuto. Pugaciòv mi guardava fissamente, strizzando a tratti l’occhio sinistro con mirabile espressione di marioleria e di canzonatura. Infine rise, e con tal sincera gaiezza che io, guardandolo, mi misi a ridere senza sapere io stesso di che.

- Ebbene, vostra nobiltà? - mi disse, - avesti paura, confessalo, quando i giovanotti miei ti buttarono la corda al collo?

Ti sarai visto, immagino, con un palmo di lingua fuori… E avresti dondolato alla traversa, se non era il tuo servo.

Riconobbi subito il vecchio barbogio. Orsù, pensavi mai tu, vostra nobiltà, che l’uomo che ti condusse al ricovero fosse il gran sovrano stesso? - (Qui egli prese un’aria grave e misteriosa).



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